Il medioevo
Le origini della nostra Università risalgono al 1175 circa, quando Pillio da Medicina, dottore in leggi attivo a Bologna, venne invitato a Modena dall’élite dirigente del Comune per aprire una scuola di formazione giuridica incentrata sul diritto romano. Si tratta dunque di una delle più antiche Università europee, dopo quella di Bologna e di Parigi.
Il riconoscimento formale (la denominazione Studium) avverrà mediante un ‘breve’ del papa Onorio III, col quale nel 1224 il vescovo modenese veniva dotato di giurisdizione sugli scolari. All’insegnamento si avvicendarono diverse generazioni di giuristi, tra cui alcuni di primo piano, come Uberto da Bobbio, Omobono Morisi da Cremona, Martino del Cassero da Fano, Guido da Suzzara, Alberto Galeotti da Parma, il francese Guglielmo Durante e il modenese Niccolò Matarelli. Nel frattempo a Reggio Emilia, in forma non ufficiale, tra l’XI e il XII secolo risultavano attive scuole giuridiche guidate da personalità di spicco, quali Jacopo Colombi, Accursio da Reggio, Jacopo d’Arena, oltreché dai già ricordati Uberto da Bobbio, Omobono Morisi e Guido da Suzzara.
Malgrado la ricchezza della vita universitaria, documentata tra l’altro dall’esistenza di un Collegio dei Dottori e di una Universitas scholarium (l’associazione corporativa degli studenti), l’avvento della signoria degli Este, ai primi del XIV secolo, fu alla base di un’irreversibile crisi, culminata nel 1391, anno di fondazione dell’Ateneo di Ferrara, presso il quale tutti i sudditi estensi saranno obbligati a conseguire la laurea.
A Modena, come del resto anche a Reggio, resteranno comunque attive delle Accademie, centri privati di studio preparatorî al conseguimento del dottorato a Ferrara, che consentiranno una certa continuità della vita culturale e della formazione specialistica.
L’età moderna
Dopo il 1598, anno della “devoluzione” di Ferrara allo Stato pontificio, a Modena, nuova capitale del Ducato, prenderà corpo il progetto di una riapertura dello Studium. Dopo alcuni tentativi da parte del Comune di finanziare le cattedre, anche grazie al contributo di Opere pie e di lasciti privati, soltanto nel 1682, presso il Collegio della Congregazione di San Carlo, poté avviarsi il primo anno accademico del rinnovato Ateneo. In quell’occasione la prolusione inaugurale fu letta da Bernardino Ramazzini, il medico carpigiano universalmente considerato il fondatore della medicina del lavoro. Il duca Francesco II, pur senza finanziare l’iniziativa, emise nel 1685 quegli Statuti considerati necessari per conferire allo Studio pubblico di San Carlo il rango di Università, cioè di istituzione capace di fornire titolo di addottoramento riconosciuto anche al di fuori del piccolo ducato.
Il rinnovato Studio iniziò la sua attività con otto cattedre: tre di Filosofia (Logica, Fisica, Metafisica), una di Medicina, due di Legge (Istituzioni e Diritto Civile), due di Teologia (Morale e Scolastica), e altre in seguito se ne affiancarono: Matematica, Diritto canonico, Diritto feudale, Lingua ebraica e greca, altre due cattedre di Medicina, una seconda cattedra di Teologia. L’istituzione fu rafforzata da iniziative come quelle di don Cristoforo Borghi (1601-1677), originario di Formigine, che nelle sue ultime volontà dispose alcuni lasciti a favore delle letture da tenersi presso l’Università. Tra i docenti più illustri di questo periodo, si segnalano Francesco Torti, insigne medico clinico e anatomico, Lazzaro Spallanzani, naturalista di grande rinomanza, e Giovan Battista Venturi, fisico di poliedrici interessi.
Infine, ormai in epoca di riforme, si segnalano due iniziative dovute a lasciti appositamente costituiti dal giurista e ministro Giuseppe Maria Bondigli, fortemente influenzato dall’amico Ludovico Antonio Muratori, entrambi laureati presso lo Studio modenese: con la prima venne creata nel 1757 la cattedra di Istituzioni criminali; con la seconda, nel 1768, quella di Diritto pubblico e delle genti, tenuta a battesimo dal giurista Bartolomeo Valdrighi, uno dei maggiori artefici del codice del 1771.
Nel 1772 il duca Francesco III realizzava un’importante riforma universitaria che, al pari di altre esperienze italiane ed europee, dava all’Università il compito della formazione specialistica della nuova classe dirigente, assumendo il diretto controllo del suo funzionamento e provvedendo finalmente al finanziamento. A Modena vennero chiamati a insegnare scienziati del calibro di Michele Rosa e di Antonio Scarpa, entrambi medici.
L’Università avrebbe altresì curato un biennio propedeutico di matrice ‘filosofica’. L’inaugurazione avvenne il 25 novembre 1772, con un’orazione tenuta da Agostino Paradisi, presidente della classe filosofica e tra i primi docenti in Italia (dopo Antonio Genovesi e prima di Cesare Beccaria) ad insegnare Economia civile.
In quello stesso giro di anni, fu creato, ricavandolo dai giardini ducali, l’Orto botanico (1758), il Teatro Anatomico presso il Grande Ospedale (1773-75), il Museo di storia naturale (1786).
Il tentativo di Francesco III nel 1753 di dotare di un’autonoma istituzione universitaria la città di Reggio, in omaggio ai privilegi imperiali di addottoramento concessi al Collegio degli Avvocati nel 1531 e al Collegio dei Medici nel 1571 nonché alla feconda esperienza delle Accademia seicentesche e delle Scuole del Seminario, venne contraddetto dalla riforma generale dell’Ateneo di Modena attuata, come detto, nel 1772, anche se può rappresentare un primo interessante precedente di quello che sarà, quasi 250 anni più tardi, il modello a rete di sedi.
Gli anni di occupazione francese e poi di sottoposizione alla Repubblica Italiana (1802) comportarono la cessazione dell’Università, trasformata in Liceo dipartimentale, proprio mentre Giuseppe Luosi, laureatosi in legge a Modena, diveniva ministro di Giustizia del Regno d’Italia napoleonico.
La Restaurazione
Il ripristino dell’Ateneo avvenne nel 1814, col ritorno a Modena degli Este, che però, nonostante la presenza di altissime personalità di docenti, come i matematici Paolo Ruffini e Antonio Araldi, nonché il fisico e ottico Giovan Battista Amici, guardarono sempre con sospetto alla libera attività di insegnamento. Nel 1821, quando si registrarono i primi moti studenteschi di matrice carbonara, la facoltà di Legge venne chiusa e smembrata in quattro convitti distribuiti su tutto il ducato. L’esperienza del convitto venne introdotta anche per i medici e per gli aspiranti ingegneri, nel 1823 riuniti nel Convitto dei Cadetti del Regio Corpo dei Pionieri (la ex scuola napoleonica del Genio), sotto la guida di un colonnello. Tali tensioni non impedirono comunque la dotazione di ulteriori strutture: il Gabinetto di Materia medica (1816), il Museo zootecnico e l’Osservatorio astronomico (1827), l’Istituto zooiatrico (1842). Anche dopo un’altra drammatica cesura – i moti 1848 – sarà possibile registrare importanti novità, come quella dell’istituzione di una scuola di Veterinaria e, nel ’49, la sottrazione ai Gesuiti del corso biennale propedeutico all’accesso universitario.
L’Unità
Con l’Unità d’Italia, dopo il primo rettorato di Francesco Selmi, emergono le prime difficoltà, comuni a tutte le sedi considerate di minore importanza, per le quali il nuovo Stato intendeva alleggerire l’impegno di finanziamento. Già nel 1862, la riforma voluta dal ministro della Pubblica Istruzione Carlo Matteucci attuava una distinzione tra università “maggiori” e università “minori” (anche ai fini delle retribuzioni dei docenti), che ben presto portò alla minaccia di un totale blocco del sostegno economico statale. A tale eventualità Modena reagì creando nel 1877 un Consorzio, con cui alcune istituzioni cittadine (Comune, Provincia, Cassa di Risparmio, Congregazione della Carità) costituirono un fondo destinato a coprire una parte delle spese per il funzionamento dell’Ateneo. Tale iniziativa, insieme ad altre simili intraprese in tutta Italia, sta alla base della legge 14 luglio 1887, che parificava l’Ateneo modenese, insieme a quello di Parma e Siena, alle sedi “maggiori”.
Dopo l’ennesimo tentativo, questa volta perseguito nel 1893 dal ministro Ferdinando Martini, di sopprimere alcune sedi universitarie, tra cui quella modenese, il 1923 – giusto l’anno in cui a Modena si laureò Sandro Pertini – vide la promulgazione del decreto n. 2102 del 30 settembre 1923, la c.d. riforma Gentile, con cui, tra le altre novità, reintrodusse la distinzione tra università di classe A e quelle di classe B: tra quest’ultima era relegato, ancora una volta, l’Ateneo di Modena, privato per di più della Scuola superiore di Medicina veterinaria e del biennio propedeutico d’Ingegneria, poi ripristinato nel 1936. Anche in questo caso, dopo un decennio di aspre rivendicazioni, che vide nel 1929 la costituzione, su iniziativa del rettore Pio Colombini, della Commissione permanente per la storia della Regia Università di Modena, si giunse alla legge 20 giugno 1935 n. 1071, che finalmente abolì l’odiosa discriminazione.
La Repubblica
Dopo la guerra e con l’avvento della Repubblica, l’Università di Modena affrontò un profondo processo di ristrutturazione e di rilancio, di cui furono protagonisti personalità del calibro di Giuseppe Dossetti, impegnato nella stesura della Carta repubblicana e docente a Modena di Diritto canonico. Possiamo a tal proposito ricordare la creazione dell’Istituto di applicazione forense nel 1948, l’istituzione del corso di laurea in Scienze geologiche nel 1958, quello in Scienze biologiche l’anno successivo, la costituzione del Policlinico nel 1963 e, nel 1968, della Facoltà di Economia e commercio.
Negli anni Settanta l’Ateneo di Modena poteva contare su 5 facoltà (Giurisprudenza; Medicina e chirurgia; Scienze matematiche, fisiche e naturali; Farmacia; Economia e commercio) e su 20 scuole di specializzazione presso la Facoltà di Medicina, senza contare l’attività di altri centri specializzati, tra cui la Scuola di Ostetricia, la Scuola per i tecnici di cardiologia, il Corso complementare di Igiene pratica, il Centro oncologico presso l’Istituto di Radiologia. Nel 1990 è stata inaugurata la sesta facoltà, quella di Ingegneria, a completamento del già attivo biennio propedeutico.
Nel 1998 l’Università di Modena ha preso la denominazione di Università di Modena e Reggio Emilia, articolandosi secondo un modello organizzativo a “rete di sedi” che ha pochissimi esempi in Italia. Tale modello si caratterizza per il progetto di sviluppo complementare, l’unitarietà della gestione, la pari dignità dei poli accademici. Contemporaneamente, hanno preso avvio a Reggio Emilia le facoltà di Scienza delle comunicazioni, quella di Agraria e la seconda facoltà di Ingegneria e, a Modena, quella di Lettere e filosofia.
Ulteriori, significative modifiche sono state attuate in ottemperanza alla legge n. 240 del 30 dicembre 2010, la c.d. riforma Gelmini, che, tra le altre novità, ha posto fine alle Facoltà, dando vita ad un’articolazione degli Atenei in Dipartimenti e in Scuole.